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"L'arte di collezionare mosche" di Fredrik Sjoberg





Dopo L'arte della fuga ho tentato un secondo approccio alla narrazione [auto]biografica, romanzata ed affascinante di Fredrik Sjoberg. Se con Gunnar è stato amore a prima vista, con Renè Malaise ci è voluto un po' prima di trovare la giusta sintonia. Quello che mi ha colpita di più è l'approccio, casuale e sempre guidato dall'arte che ha avvicinato l'autore a questi due uomini incredibili. La storia personale, i fallimenti e le straordinarie conquiste, si mescolano a quelle del protagnista e dei protagonisti tutti. La vita di ogni uomo è sempre costellata di altre persone a cui l'autore, in poche righe, dà vita, regalando forma ad un nome che altrimenti resterebbe nell'ombra. Al lettore vengono offerti innumerevoli spunti da cui partire per scoprire altri mondi e altre vite. I libri di Sjoberg sono delle scatole cinesi, delle matriosche che trasudano conoscenza, curiosità e spiccato senso logico, unito ad un amore sconsiderato per la ricerca di indizi, quasi da libro giallo. Non sono libri che si leggono con rapidità, necessitano il giusto tempo per sedimentare e per permettere al lettore di assorbire tutta la vita che scorre tra le pagine. Malaise all'inizio sembra solo il geniale inventore di una tenda cattura mosche, che si rivelerà rivoluzionaria per gli entomologi di tutto il mondo, alla fine del libro la tenda è quasi dimenticata, Malaise appare come un personaggio poliedrico, leggendario, uno di quelli che non esistono più. 

La bellezza dei protagonisti raccontati da Sjoberg è la loro unicità, la loro conoscenza del mondo e di campi di scienza e cultura vasti come il loro sguardo e i luoghi dove il destino li ha condotti, in un mondo fortunatamente per loro, ancora in parte da scoprire.




"Cosa te ne fai di Malaise?"
La domanda mi colse di sorpresa.
La risposta fu nello stesso tono.
Evasiva.
Avevo cominciato a raccogliere quel poco che si sa di Renè Malaise. Mi ero procurato i suoi libri e avevo frugato negli archivi, senza peraltro trovare granchè.
Tutti gli entomologi più anziani che conoscevo lo avevano incontrato, forse avevano anche ascoltato le sue terribili storie sugli anni Venti, ma nessuno lo conosceva intimamente.
Luoghi comuni, nient'altro.
L'immagine di un allegro monello esperto di tentredinidi e  inventore di una trappola, un uomo dal passato avventuroso che poi era diventato un po' strambo, un originale che nessuno prendeva più sul serio, che si fece dei nemici e si perse infine tra le leggende.
Cosa potevo farmene?

Ogni volta che mi sembrava di averlo capito mi sfuggiva di nuovo sparendo in altre follie.
Così ogni volta lo lasciavo perdere e mi dedicavo ad altro. Non perchè perdessi interesse al suo destino, ma perchè il suo spirito fondamentalmente esuberante, quasi sfrenato, mi inquietava.
C'era in lui qualcosa di sconfinato.






Ho già pronto il terzo volume.
Il re dell'uvetta mi attende.




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