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Il treno di oggi.



Oggi ero sul treno.
Un suburbano che taglia la brianza e si arrotola fino alla periferia ovest di Milano, passando per quella est e per zone poco lontane dal centro. Immagino spesso il suo crescente stupore dovuto ai cambi di paesaggio frequenti e repentini. Passare da boschi e campi a palazzoni e poi casette e poi di nuovo prati. Avanti e indietro.
Avanti e indietro.

Oggi ero seduta nella prima carrozza.
I sedili messi tutti attorno alle pareti.
Come nei vagoni della metropolitana o nelle sale d'attesa.
Un freddo polare mi soffiava addosso e il mio umore mi faceva sentire ancora più freddo. Dentro.

Oggi il treno ha rallentato davanti ad un gruppo di ragazzi.
Appena li ho visti ho sperato non salissero.
Non su quel treno.
Non sul mio vagone.
Il treno si è fermato e io li vedevo mozzati.
Nello spazio del finestrino.
Collo - Metà coscia.
Nulla di più.
Tutti tranne uno.
Un ragazzo dai capelli corti, canotta scura e orecchino al naso.
Di spalle un energumeno dal collo largo, spalle tatuate e pantalone della tuta molle sul sedere.
Guardavo il ragazzino negli occhi.
E lui guardava quello grosso.
Non gli staccava gli occhi.
Una frase, due.
Quello l'ha sospinto contro un palo.
E SPAK!
Si. Perchè il ceffone che gli ha tirato deve aver fatto quel rumore.

Ero sul treno e non respiravo.
Trattenevo il fiato senza saperlo.
Avevo paura per lui, con il suo orecchino al naso e lo sguardo gentile.

Ero sul treno che ripartiva verso il lavoro.
Lo sguardo fisso davanti.
Il respiro che tornava regolare.
Le guance calde rigate di gocce polari.
Ho pensato a tutti i ragazzini del mondo, a tutti quelli che escono di casa e si trovano un ciccione con la tuta molle sul sedere che gli schiaffa una cinquina in piena faccia. Ho desiderato ardentemente proteggerli. Avrei voluto stringere mio fratello stretto, strettissimo.

Mi sono sentita sola come poche volte.

Ero sul treno ed ero quasi arrivata al lavoro.
Ero in una stazione con un gruppo di ragazzi.
Ero abbracciata a mio fratello che mi scacciava ridendo.
Davo la mano ai miei nonni.
Mi arrotolavo tra le braccia del Metà.
Dividevo un divano minuscolo con mia mamma e i suoi piedi gelati.

Ero altrove.
La vista appannata dalle lacrime come ora.
Come quando guardo il tg.
O sono così stanca da aver bisogno di buttar fuori, perchè dentro non c'è più posto.


Un mio amico mi dice sempre "Non puoi salvarli tutti"
E io ogni volta rispondo "Magari potessi..."



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